L’avvento di Engelbert Dollfuss e la fine della democrazia in Austria (1932 – 1938)
Come ricorderanno gli amici che erano presenti al seminario del 21 settembre scorso, in quell’occasione ho illustrato gli iniziali 14 anni della Prima Repubblica austriaca, che vide la luce subito dopo la caduta dell’Impero austro-ungarico l’11 novembre 1918.
Ricorderanno pure che tale illustrazione è stata da me fatta, basandomi sulle lettere inviate dalla mia bisnonna a sua figlia Lydia, che era mia nonna, e che, pur rappresentando una visione di parte, corrispondeva pur sempre al sentire di un settore importante dell’opinione pubblica austriaca, quale era l’aristocrazia di quel paese.
Ricorderanno pure che dalla narrazione della mia antenata emerse l’immagine di un paese molto travagliato sul piano politico e su quello economico, che non riuscì mai a trovare un equilibrio interno soprattutto a causa dei grandi contrasti tra le due principali forze politiche nazionali (il partito cristiano- sociale e il Partito socialdemocratico).
Un paese, una Repubblica però che riuscì durante i suoi primi 14 anni a rimanere nella famiglia delle democrazie occidentali – come la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti – grazie soprattutto al contributo di 2 Cancellieri: il dr. Michael Mayr, il secondo Cancelliere Federale, che durante il suo Cancellierato redasse e fece approvare una Costituzione di stampo occidentale, e Monsignor Ignaz Seipel, il cui primo Cancellierato (dal 1922 al 1924) fu, a giudizio di molti, il migliore degli altri sette cancellierati, che l’avevano preceduto e seguito fomo all’avvento di Engelbert Dollfuss.
Una democrazia – quella austriaca – che era certamente imperfetta sotto molti aspetti, ma una democrazia, che riuscì a dotarsi di un sistema multipartitico funzionante, di un meccanismo elettorale di stampo occidentale e di una serie di garanzie – quali la libertà di espressione e di stampa – che non esistevano in tutti i paesi occidentali di allora, come, per esempio, in Italia, Spagna e Portogallo, dove c’erano già le dittature.
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L’avvento del Cancelliere Engelbert Dollfuss nel maggio 1932 – dopo l’incolore gestione del Cancelliere Karl Buresch, durato meno di un anno – coincise con un periodo di grandi difficoltà politiche ed economiche in Europa – dovute al fallimento del meccanismo di sicurezza collettiva previsto dai Trattati di pace di Versailles e dalla crisi del 1929 che si estese progressivamente a tutti i paesi europei – e in Austria, che fu afflitta da grandi difficolta economiche e da forti tensioni sociali. Per questi motivi la mia bisnonna accolse l’avvento di Dollfuss con un certo scetticismo sulla possibilità del nuovo Cancelliere di raddrizzare le cose nel suo paese, uno scetticismo che non si riferiva alla persona del Cancelliere quanto alle obiettive difficoltà del momento.
Il Cancelliere Dollfuss sostanzialmente piaceva alla mia bisnonna, ovviamente non da un punto di vista fisico (era alto 1,50 e per questo a Vienna lo chiamavano ironicamente MILLIMETTERNICH), ma per tutta una serie di motivi che erano soprattutto i seguenti: 1) Dollfuss era uno degli esponenti più in vista del Partito cristiano-sociale, che era anche il partito della mia bisnonna; 2) egli era in certo qualmodo l’erede di Monsignor Seipel, che era già anziano e che sarebbe morto tre mesi dopo cioè nell’agosto 1932; 3) Dollfuss era anche uno strenuo difensore dell’indipendenza dell’Austria (e quindi contrario all’Anschluss con la Germania).
Dollfuss aveva però un lato del suo carattere che non piaceva alla mia bisnonna, perché egli aveva concezioni politiche autoritarie ed era attratto dal fascismo italiano, verso il quale invece la mia bisnonna non aveva, quantomeno all’inizio, molta simpatia : un atteggiamento che tuttavia mutò con il passar del tempo, forse per l’influenza esercitata su di lei dalle due figlie – mia nonna Lydia e sua sorella Edith – che – ironia della sorte – erano sposate con due alti funzionari dello Stato Italiano: mia nonna con un Prefetto del Regno d’Italia e sua sorella con un Ufficiale dei Carabinieri reali.
Le simpatie di Dollfuss per il fascismo italiano cominciarono a manifestarsi pochi mesi dopo il suo avvento al potere, allorchè fondò un nuovo raggruppamento politico, il “Fronte patriottico” (die Vaterlaendische Front), che riuniva sotto un’unica bandiera quasi tutti i partiti politici di destra (compreso il Partito cristiano-sociale).
L’organizzazione del nuovo raggruppamento fu affidata al Principe Ernst Ruediger Starhemberg, del quale abbiamo discusso nel seminario del 21 settembre, che si era messo in luce a metà degli anni Venti quale difensore dell’irredentismo tirolese contro la politica di snazionalizzazione dell’Alto Adige del governo italiano e quale simpatizzante di Hitler, che conobbe nel 1921 in occasione del noto “putsch” nella Birreria a Monaco di Baviera.
Starhemberg divenne in seguito uno dei collaboratori più stretti di Dollfuss nonché il suo tramite personale per i contatti con Mussolini, che il Principe aveva già incontrato una prima volta a Roma nel 1930 in occasione della firma del Trattato di amicizia e collaborazione italo-austriaco, quando il Cancelliere era Johannes Stoiber.
Nonostante però tutti gli sforzi effettuati da Dollfuss per consolidare il fronte conservatore, la mia bisnonna ebbe tuttavia sempre l’impressione che la posizione personale di Dollfuss non fosse solidissima all’interno del suo partito e soprattutto all’interno della milizia “Heimwehr”, dove c’era un’ala filoitaliana, che faceva capo a Stahremberg, e un’ala filotedesca che faceva capo al Ministro dell’Istruzione Anton Rintelen.
Questa impressione della mia bisnonna si rivelò ben presto fondata, allorchè nei primi mesi del Cancellierato di Dollfuss scoppiò il cosiddetto “caso Hirtenberg”, che nocque al prestigio del Capo del governo austriaco sia in patria sia all’estero.
Il caso è noto. La stampa socialdemocratica ad un certo momento diede la notizia che Dollfuss aveva accettato la proposta italiana di un invio di armi all’Austria e all’Ungheria, che fu considerata dalla predetta stampa una violazione delle relative clausole del Trattato di Versailles del 1919 in materia di disarmo.
La stampa governativa – e naturalmente anche quella fascista – non riteneva invece il trasferimento delle armi in questione una violazione del “Covenant” e non costituiva quindi, a suo giudizio, un’iniziativa illegale. Le armi erano infatti residuati bellici dell’esercito austriaco della Prima Guerra Mondiale, che, caricate su numerosi vagoni ferroviari, avevano oltrepassato il valico di San Candido con regolare bolletta doganale e raggiunsero la fabbrica d’armi austriaca “Hirtenberg Patronen Fabrik”, dove avrebbero dovuto essere ammodernate – per esempio dotando le canne dei fucili di una nuova rigatura o accorciando la lunghezza delle canne degli stessi fucili. Dopo l’ammodernamento le armi sarebbero state poi date in dotazione all’esercito austriaco ed in parte trasferite anche all’esercito ungherese.
In realtà le proteste dell’SPOe erano collegate al sospetto, probabilmente fondato, che le armi fornite dall’Italia sarebbero andate a finire in tutto o in parte all’Heimwehr di Starhemberg e che sarebbero state utilizzate all’occorrenza contro lo “Schutzbund” socialdemocratico.
La risposta di Dollfuss alla campagna stampa socialdemocratica non si fece attendere e agli inizi del 1933 il governo decretò il rinvio “sine die” delle elezioni nazionali, previste per il marzo 1933, motivandolo con la mancanza del necessario clima politico favorevole allo svolgimento delle consultazioni stesse.
In realtà la ragione di fondo del rinvio era soprattutto il timore che tali elezioni avrebbero potuto essere vinte dall’SPOe, come era avvenuto nel 1930, e che tale rinvio avrebbe potuto essere una ghiotta occasione per Dollfuss per imboccare la via autoritaria consigliatagli vivamente da Mussolini.
Non a caso all’annuncio del rinvio delle elezioni seguirono la sospensione delle sedute del Parlamento, la sua pratica esautorazione nonché la decisione del governo di governare per quasi un anno con poteri eccezionali e con decreti-legge.
E di questi poteri eccezionali Dollfuss si servì sia contro i socialisti sia contro i nazisti austriaci.
Il deputato socialdemocratico, Wilhelm Ellenbogen, che era, nonostante la diversità delle loro idee politiche, un amico della mia bisnonna, le rivelò, prima di partire per l’esilio, che il governo Dollfuss non aveva permesso ai deputati nemmeno l’ingresso in Parlamento, che era stato impedito dalla polizia locale.
A quel punto la mia bisnonna capì che la democrazia in Austria aveva cessato di esistere.
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In realtà la cancellazione delle elezioni non fu soltanto la dimostrazione che la democrazia in Austria correva seri pericoli, ma fu anche una concreta avvisaglia sul pericolo di una guerra civile nel paese, come era avvenuto nel 1927.
Alla cancellazione delle elezioni seguì infatti il 30 marzo 1933 da parte del governo federale lo scioglimento d’autorità dello “Schutzbund”, la milizia del partito socialdemocratico austriaco. Pochi giorni dopo il governo procedette allo scioglimento del Partito comunista austriaco. Due mei dopo, cioè nel maggio, furono messi fuori legge tutti i restanti partiti politici, compreso il partito socialdemocratico.
Questi gravissimi fatti – come notò argutamente la mia bisnonna in una delle sue lettere – erano avvenuti poco prima e subito dopo la visita ufficiale di Mussolini a Vienna nell’aprile del 1933, confermando i suoi sospetti che il Duce fosse diventato ormai il vero ispiratore della politica di Dollfuss e che l’ala filoitaliana dell’Heimwher, guidata da Starhemberg, avesse avuto momentaneamente il sopravvento sull’ala filotedesca di Rintelen.
L’impressione di un infeudamento dell’Austria all’Italia fascista toccò il culmine con l’incontro di Riccione tra Dollfuss e Mussolini nell’Agosto 1933, quando il Duce consigliò al suo omologo austriaco una precisa tabella di marcia per un’energica azione interna in Austria, di cui avrebbe dovuto far parte il rafforzamento anche militare dell’Heimwehr, l’eliminazione dell’amministrazione socialdemocratica di Vienna, la modifica della Costituzione del 1920 in senso corporativo.
Secondo la mia bisnonna le repressioni effettuate dal governo ai danni dell’SPOe furono un errore colossale, perché, distruggendo il Partito socialdemocratico, Dollfuss si era alienato importanti settori che avrebbero potuto appoggiarlo nella lotta contro i nazisti austriaci, che dopo l’avvento al potere di Hitler in Germania nel gennaio del 1933 avevano moltiplicato le loro violenze soprattutto a Vienna, perché incoraggiati, sostenuti e finanziati dal partito nazionalsocialista tedesco.
“Sangue però chiama sangue”, ricordava la mia bisnonna in una sua lettera a mia nonna, ed infatti nell’ottobre 1933 lo stesso Dollfuss fu vittima di un attentato, perpetrato dai nazisti austriaci, e ferito a colpi di rivoltella in modo peraltro non mortale. Italia, Francia, Gran Bretagna emiserp allora comunicati identici circa la necessità di mantenere l’indipendenza e l’integrità dell’Austria conformemente ai trattati in vigore. Ma fu un’iniziativa fine a se stessa che mirava soprattutto a rafforzare la posizione di Dollfuss sul piano interno.
Il predetto attentato a Dollfuss indebolì comunque la corrente d’opinione in Austria favorevole all’Anschluss: i cattolici infatti divennero ancora più freddi, avendo tra l’altro appreso delle persecuzioni subite dai cattolici tedeschi nonostante la firma del Concordato tra la Germania e il Vaticano del 1933; i socialisti non volevano far parte di uno Stato, dove era stato appena sciolto il loro partito-fratello, come aveva fatto Dollfuss in Austria; i nazionalisti continuavano ad essere profondamente divisi tra filoitaliani e filotedeschi con una certa prevalenza dei primi.
Il periodo tra la fine del 1933 e l’inizio del 1934 fu un periodo di grandi tensioni in Austria e nei giorni dal 12 al 15 febbraio 1934 Vienna conobbe la tanto temuta guerra civile. La mia bisnonna racconta che per tre giorni si combatte’ nelle strade con un’intensità inaudita e alla fine Dollfuss, aiutato dalla Heimwehr, ottenne la vittoria e ne approfittò per distruggere tutto quello che restava della democrazia austriaca.
L’SPOe fu la vera vittima della rivolta, perchè fu colpito non soltanto con l’arresto di numerosi dei suoi membri, ma anche con la distruzione fisica di molti degli uffici del partito effettuata dalle forze di polizia e dall’artiglieria dell’Heimwehr soprattutto nel quartiere di Ottakring.
In quei drammatici momento Mussolini mostrò grande solidarietà verso Dollfuss, che trovò nuova espressione nel marzo 1934 con la firma dei “Protocolli di Roma” con l’Austria e l’Ungheria, che erano accordi di carattere politico-economico, che rafforzarono la collaborazione tra i tre paesi e stabilivano riduzioni doganali reciproche e facilitazioni per i crediti all’esportazione.
Ma la soddisfazione dei fascisti italiani per il rafforzamento della collaborazione italo-austro-ungherese fu di breve durata perchè il 25 luglio 1934 il Cancelliere Dollfuss fu assassinato dai nazisti austriaci con la connivenza di membri dello staff della Cancelleria.
Mussolini ne fu altamente indignato, anche perché la famiglia del Cancelliere era in quel momento in vacanza in Italia ospite del Duce. Egli allora ordinò immediatamente l’invio di quattro divisioni di Alpini alla frontiera del Brennero ed affermò che l’indipendenza austriaca sarebbe stata strenuamente difesa dall’Italia. Francia e Gran Bretagna non tennero invece un atteggiamento altrettanto fermo e questa omissione anglo-francese l’impressionò sfavorevolmente.
Ma quando Hitler sostituì l’Ispettore del partito nazista tedesco, Habicht, competente per l’Austria, negando al tempo stesso qualsiasi responsabilità personale per la morte di Dollfuss, le divisioni italiane furono ritirate dal Brennero.
4 giorni dopo l’assassinio di Dollfuss il Presidente della Repubblica austriaca Miklas nominò Kurt von Schuschnigg successore del defunto Cancelliere e la mia bisnonna fu piena di ammirazione per la coraggiosa decisione del Capo dello Stato di scegliere un altro cattolico alla guida del governo, perché era corsa voce che il nazista Anton Rintelen, il capo dell’ala filotedesca della “Heimwehr”, aspirava alla successione di Dollfuss.
Schuschnigg, che era Ministro della Giustizia, era anche un cattolico devoto, un seguace di Monsignor Seipel ed un politico deciso a continuare la politica di Dollfuss, di cui fu prova l’immediata nomina di Starhemberg a Vice Cancelliere.
La mia bisnonna apprezzò la tempestività con cui il Presidente Miklas aveva agito nonché l’invito di Mussolini a Schuschnigg per un incontro a Firenze nell’agosto 1934, durante il quale riconfermò gli impegni presi dall’Italia a favore dell’indipendenza dell’Austria.
E questa volta nel settembre 1934 anche Francia e Gran Bretagna riconfermarono con maggiore energia le promesse tripartite fatte nel febbraio a favore dell’indipendenza del paese danubiano.
Tali impegni furono poi riconfermati nell’aprile 1935 nel Convegno di Stresa e subito dopo (maggio 1935) Schuschnigg vide una seconda volta Mussolini a Firenze.
A detta della mia bisnonna Schuschnigg si sentì rincuorato dagli appoggi internazionali ricevuti e cercò di dare una sua impronta alla situazione in corso.
Tra l’altro, volle dare un contentino alla dinastia degli Asburgo, reintegrandola, almeno parzialmente, nei suoi diritti e nei suoi averi, espropriati con l’”Habsburger Ausschuss Akt” del 1919 dal Governo socialdemocratico del Cancelliere Renner, di cui abbiamo parlato nel precedente seminario.
La mia bisnonna ovviamente apprezzò il provvedimento adottato dal governo, ma ben presto si rese conto che il recupero delle proprietà espropriate necessitava di un procedimento giudiziario lungo e costoso che lei non era in grado di affrontare finanziariamente.
Sospettò comunque che la motivazione dell’iniziativa fosse soprattutto politica, che nascondeva a malapena l’intenzione del governo di sfruttare i sentimenti monarchici che ancora vigevano in alcuni settori della popolazione per aumentare la consistenza elettorale del raggruppamento conservatore.
A seguito di tale provvedimento centinaia di piccole città – come per esempio Lienz – la capitale del Tirolo Orientale e paese natale di mia nonna Lydia – conferirono la cittadinanza onoraria al pretendente al trono, Otto d’Asburgo, l’unico figlio maschio dell’Imperatore Carlo I, e dozzine di società austriache gli conferirono la carica di Presidente onorario.
Ma si trattava di piccoli espedienti adoperatI da Schuschnigg per ingraziarsi i settori più conservatori dell’elettorato austriaco, come lo fu la ben più importante decisione di sollevare Starhemberg dall’incarico di Vice Cancelliere: una chiara mossa per ingraziarsi l’ala filotedesca dell’Heimwehr che considerava il Starhemberg troppo filoitaliano.
In realtà il suo tentativo di riprendere saldamente in mano la situazione era fallito, perchè continuava ad incontrare una vivace opposizione sia tra i socialdemocratici, andati ormai in clandestinità, sia tra i nazisti austriaci, che, finanziati dalla Germania, erano diventati molto aggressivi.
Anche nei rapporti con Mussolini Schuschnigg notò un qualche raffreddamento, che attribuì alle difficoltà che l’Italia stava incontrando con la SdN per l’avventura etiopica, anche se l’Austria, assieme all’Albania e all’Ungheria, aveva votato contro le sanzioni all’Italia.
Schuschnigg si accorse del cambiamento della politica italiana già nel corso del suo incontro con il Duce a Rocca delle Caminate nel giugno 1936, durante il quale Mussolini, pur riconfermando il suo fermo appoggio all’indipendenza austriaca, gli fece capire che il governo di Vienna avrebbe dovuto trovare da solo un “modus vivendi” con la Germania, con la quale il Duce andava sempre più d’accordo.
E certamente non fu una coincidenza che un mese dopo, cioè nel luglio 1936, Schuschnigg e Hitler firmarono un Accordo di amicizia, in cui – sì – Hitler riconosceva la piena indipendenza dell’Austria, ma a sua volta Schuschnigg dichiarava che l’Austria era uno Stato tedesco e che la sua politica, particolarmente nei confronti della Germania, sarebbe stata ispirata a questo fatto.
Ma, a detta di mia bisnonna, Schuschnigg non si accorse che, proprio grazie all’accordo del 1936, i nazisti austriaci erano ormai divenuti più aggressivi e virtualmente pronti per l’Anschluss e che ormai per Mussolini veniva prima l’Asse con la Germania e poi l’indipendenza austriaca.
E invece avrebbe dovuto accorgersene, perché dopo l’incontro che Mussolini gli concesse a Venezia il 22 aprile 1937, il Duce ebbe tutta una serie di incontri ad altissimo livello con i tedeschi: il 26 aprile con Goehring a Roma; nel maggio, sempre a Roma, con il Ministro degli Esteri tedesco Von Neurath e nel giugno con il Ministro della guerra von Blomberg, che assistette tra l’altro ad un’esercitazione navale tra Napoli e Gaeta alla quale parteciparono ben 130 navi da guerra. Per non parlare infine del viaggio di Mussolini a Berlino nel settembre 1937 che mise un nuovo suggello nei rapporti tra l’Italia e la Germania.
Nel gennaio 1938 si venne poi a sapere che la polizia viennese aveva scoperto un piano, sponsorizzato da Hess, il vice di Hitler, per un “putsch” nazista in Austria, che avrebbe dovuto esser effettuato nell’aprile del 1938. Il piano fallì, ma questa volta Hitler, anziché fare lo gnorri, come aveva fatto tante volte in passato, decise di affrettare i tempi e il 12 febbraio convocò un riluttante Schuschnigg a Berchtesgaden e gli presentò un ultimatum.
Uno dei risultati dell’incontro fu la richiesta tedesca d’un immediato rimpasto del governo austriaco con l’inserimento di personalità di sicura fede nazista tra cui i Ministri degli Esteri e dell’Interno.
Tornato a Vienna, Schuschnigg effettuò il rimpasto richiesto e proclamò anche una generale amnistia per tutti i nazisti austriaci che erano stati arrestati dal governo di Vienna per attività antigovernative.
Ma un paio di settimane dopo, il 24 febbraio 1938 Schuschnigg ebbe uno scatto di orgoglio e tenne alla radio di Vienna un discorso, in cui riaffermò vibratamente l’indipendenza dell’Austria, un discorso che piacque a Mussolini, mentre fece indispettire Hitler.
Allora Schuschnigg fece un ultimo tentativo per salvare l’Austria, indicendo un plebiscito che avrebbe dovuto prevenire una richiesta tedesca di Anschluss. Il plebiscito era previsto pe domenica 9 marzo e i miei bisnonni sarebbero stati felici di votare contro l’Anschluss e a favore dell’indipendenza del loro paese.
Hitler fu sorpreso ed indispettito da questa mossa e minacciò di ordinare alla Wehrmacht di invadere l’Austria a meno che il plebiscito fosse stato cancellato.
Abbandonato dal resto d’Europa, Schuschnigg si dimise.
Al suo posto venne nominato il Ministro dell’Interno Seyss-Inquart, che la mia bisnonna definì “un personaggio triste”, il quale l’11 marzo annunciò pubblicamente di avere chiesto a Berlino l’invio di truppe tedesche in Austria per contrastare il riarmo dei comunisti che aveva raggiunto un livello allarmante.
Con la Gestapo già infiltrata in Austria, le truppe tedesche il 12 marzo attraversarono la frontiera, accolte con ardente entusiasmo dai giubilanti nazisti austriaci che si erano schierati lungo le strade.
Il pangermanesimo aveva trionfato sul liberalismo, sul socialismo, sulla monarchia e sul cattolicesimo. E la mi bisnonna pianse.
Ma dell’ingresso di Hitler a Vienna il 13 marzo 1938, del suo discorso nella Heldenplatz e del settennato nazionalsocialista parleremo nel nostro prossimo seminario.