Lo sbarco di Enea nel Lazio (Prof.ssa Sara Rossi Perissinotti)

In questo litorale laziale, che va da Anzio a Roma, teatro di eventi e destini dell’umanità, in cui si è addensata la storia dell’occidente con la nascita e la sorte di Roma, è avvenuto il leggendario sbarco di Enea e la fondazione di Lavinium, da cui avrà origine la stirpe albana e la stessa Roma.

A Enea, come sappiamo dalla celeberrima Iliade, fuggito da Troia, distrutta dagli Achei, con il padre Anchise, il figliolo Ascanio e i Penati della città, Omero nel canto XX riserva un eccezionale destino: “Il fato ha stabilito che egli si salvi, affinché non perisca sterile la stirpe di Dardano… Ma sui troiani oramai regnerà il potente Enea e i figli dei suoi figli che nasceranno nell’avvenire”.

Il mito di Enea è molto antico e importante nella letteratura greca fin dalle origini.

Già Stesicoro di Imera in Magna Grecia, ritenuto da molti un “Omero lirico” (Treccani), vissuto tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., di cui rimangono scarsi frammenti, ricorda che Enea è destinato a fondare una nuova Troia.

Anche il grande poeta tragico Sofocle rammenta l’esule eroe troiano nella perduta opera Laoconte.

Nel V sec. a.C. Erodoto di Alicarnasso, ritenuto il primo storico dell’occidente, scrisse, ricorda Antonio Scarcella ne La letteratura della Grecia antica, per la prima volta le vicende dei popoli allora conosciuti di Asia occidentale (compreso l’immenso impero persiano esteso fino all’India), di Africa settentrionale (incluso l’Egitto) e Grecia, narrando la vittoria greca nella guerra greco persiana (circa 500-478 a.C.).

Tutta l’opera di Erodoto si configura, secondo lo studioso, come un conflitto tra la condizione di suddito (propria dell’oriente e della Persia), che accetta un padrone e quella dell’occidente greco, del libero cittadino, che riconosce un solo padrone il nòmos, la legge, la regola. Erodoto delinea l’aspirazione alla libertà come eminentemente greca, il cui fulcro è nell’uguaglianza di parola, nel dare l’eguale possibilità di parola ai liberi cittadini, a differenza della tirannide violenta, crudele e dei suoi scarsi aneliti di libertà, rivolti solamente contro l’invasore.

Enea e la fondazione di Roma

In questo contesto il coevo storico greco Ellanico di Lesbo conosce Roma. Nella sua opera Storie di Troia, tratta delle origini di Roma, fondata da Enea, che giunto nel Lazio, avrebbe dato alla città il nome di una delle donne troiane, Rhome.

La fondazione di Roma da parte di Enea è citata anche dal suo allievo, Damaste di Sigeo, colonia greca in Turchia, sempre nel V secolo a.C.

Sebbene Erodoto nella sua opera, denominata Storia, arrivi per la prima volta a una “narrazione unitaria delle vicende di tutti i popoli allora conosciuti”, continua Antonio Scarcella, basandosi sull’osservazione diretta e la verifica personale dei dati, attraverso lunghi viaggi e descrizioni geografiche, gli eventi mitico-divini permeano ancora il racconto storico.

E così si attribuiscono agli eroi, esseri semidivini, capaci di gesta prodigiose e di grandi opere civilizzatrici, la fondazione delle città.

Lo storico greco, vissuto tra il IV e il III sec. a.C., Timeo di Tauromenio, l’odierna Taormina, infatti nella sua opera Sikelikà sull’occidente greco, di cui rimangono solo frammenti, le antiche città dell’Italia centro-meridionale e della Sicilia, sono ritenute fondate dai celebri eroi come gli Argonauti, Eracle, Enea, dando inoltre per la prima volta una sistemazione alle confuse storie mitologiche e un ordine cronologico, basato sulle olimpiadi.

Riferimento per gli storici greci e romani, Timeo fu popolare a Roma, perché tracciò la storia delle sue origini mitiche, attraverso la leggenda di Enea e la sua fondazione di Lavinium, in cui avrebbe portato i Penati di Troia, leggenda poi assunta da Virgilio nella famosa Eneide. Secondo Paolo Sommella, professore emerito di Topografia Antica della Sapienza di Roma, Timeo, basandosi su una descrizione di Lavinium, appresa dagli abitanti del luogo, dove con molta probabilità si era recato, stabilisce un importante e preciso legame tra Roma e Troia. Il mito dell’eroe troiano sulle coste laziali e italiche è, secondo lo studioso, sostenuto già dal V sec. a.C. da mire ateniesi nell’area dell’Espería (occidente), per interessi diplomatici, economici, commerciali, in una sorta di troianizzazione di essa.

Atene consacra il mito di Enea

Secondo il sito l’associazione Rotta di Enea, riconosciuta dall’UE, il cui comitato scientifico vanta professori e archeologi internazionali, Atene consacra in modo ufficiale il mito di Enea. L’eroe è sì un nemico, ma gli si deve rispetto per la sua virtù e il suo atteggiamento equilibrato di essere stato fautore della restituzione di Elena. Enea fu infatti rappresentato persino nel Partenone (metopa 28, lato nord) e la sua figura con il padre Anchise sulle spalle e il figlio, diffusa già dal VI sec. a.C., nella produzione di ceramiche. Con la suggestiva predizione della troiana Cassandra, nel poema epico Alessandra del poeta greco Licofrone (fine IV e inizi III sec. a.C.), in cui si attribuisce al “pio” Enea la creazione della celebrata Roma, ed è ricordato il mito dei troiani affamati e la profezia della scrofa nel luogo deputato alla fondazione di Lavinium, si collega il cielo troiano con quello latino e romano.

Enea torna nelle terre d’origine

Nell’Eneide Virgilio fa apparire il viaggio dell’esule come un ritorno alle origini, alla terra d’Italia, da cui proveniva Dardano, progenitore dei troiani, figlio di Giove e di Elettra, nato alle porte di Laurento nel Lazio, mitica città del re Latino.

Il percorso dell’eroe è quindi una ricerca dell’ “antiqua mater”, a lui predetta dall’oracolo di Apollo a Delo, nel III libro del poema, nel cui grembo i discendenti di Enea domineranno su tutti i popoli e su tutti i secoli a venire.

In Virgilio il mito troiano di Enea che porta con sé i Penati di Troia, simbolo dei culti e della tradizione della città, divenuti tutela del “nomen” dei Latini, custodi dell’ordine famigliare e dello stato, per riportarli nella terra d’origine, si fonde con il tema della consacrazione dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto. “Uomo provvidenziale” asserì Giosuè Carducci, conciliò nella sua politica la pacificazione dell’impero, l’idea della missione civile e dell’eternità di Roma con le tradizioni dell’antica civiltà, care a Virgilio.

Proprio in apertura del poema, Giove stesso assicura a Venere che la stirpe di suo figlio Enea, progenitore di Augusto, costruirà una nuova Troia, conquistatrice della Grecia, vendicando così la distruzione di Troia stessa.

Dal generoso sangue di Dardano sorgeranno quindi i Romani. Enea fonderà Lavinium, vincerà i Rutuli, imporrà leggi e costumi. A lui succederà Ascanio che fonderà Alba Longa, dal cui re Numitore nascerà la Vestale Rea Silvia, chiamata da Virgilio, Ilia (da Ilio, Troia), madre di Romolo e Remo, figli di Marte, nutriti dalla lupa. Romolo fonderà la grande città di Marte, Roma, imperatrice del mondo in guerra e in pace.

La gens Julia

Dalla Gens Julia, discendente di Julo, nome di Ascanio, figlio di Enea, derivato da Ilio, come era anche chiamata Troia, nascerà Giulio Cesare Ottaviano Augusto, di origine divina, che, arbitro del mondo, riporterà i valori morali tradizionali e la pax augustana, dopo il sangue delle violente guerre civili.

La pace, continua Virgilio sempre nel I° libro, sarà assicurata da Vesta (dea della pace domestica) dalla Fede (reciproca Fiducia) e da Romolo (divinizzato in Quirino dopo la sua morte) riconciliatosi col fratello. Si chiuderanno le porte del tempio di Giano, aperte in guerra, che saranno effettivamente chiuse da Augusto, ricorda Gustavo Vinay nel suo commento all’Eneide, nel 29 a.C.

Significativa è l’iconografia del mito di Enea esemplato nell’Ara pacis a Roma, eretto da Augusto, in cui l’eroe con Ascanio e i Penati compie un sacrificio agli dei appena giunto a Lavinium (Fig. 1). Enea, rappresentato nell’atto di compiere un’azione sacra, è il pius Aeneas, fedele agli dei, retto e magnanimo, modello di virtù romane, come lo aveva poeticamente delineato Virgilio.

Il tema dell’eroe è assai ripetuto nell’arte romana, sia nell’epigrafia, nella numismatica, che nelle fonti letterarie latine, tra cui cito: Fabio Pittore, Catone il Censore, Varrone, Strabone, Properzio, Ovidio e Tito Livio nella sua Ab Urbe Condita.

 

Virgilio, per esaltare nel mito di Enea il legame con Roma, introduce una variante rispetto alle fonti: fa sbarcare nell’VIII libro dell’Eneide l’eroe con le navi e i compagni sul Tevere, fra le cui rive troverà la scrofa bianca con 30 porcellini, sacrificati a Giunone.

La scrofa insieme al mangiar le mense per la fame dei troiani si rivelano essere i segni del luogo deputato dalla profezia ove fondare la nuova città e i 30 porcellini rappresentano, che dopo 30 anni dalla fondazione Lavinium, Ascanio avrebbe fondato Alba Longa.

Le ricerche archeologiche dell’Istituto di topografia della Sapienza di Roma, guidate da Ferdinando Castagnoli dal 1955-56 e continuate nel corso degli anni da Paolo Sommella, Maria Fenelli e Alessandro Jaia, attraverso l’indagine topografica e sistematica di Lavinium, anche con l’impiego della fotografia aerea, hanno portato alla luce il luogo del mitico sbarco, il tracciato della pianta urbana e extraurbana di Lavinium e la tomba dell’eroe Enea.

Lo storico Dionigi di Alicarnasso

Gli studiosi, rispetto alla creazione poetica di Virgilio hanno ritenuto, tra le altre fonti, particolarmente affidabile le Antichità Romane, storia di Roma dalle origini fino alla I guerra punica (264 a.C.), scritte dallo storico e retore greco Dionigi di Alicarnasso del I secolo a.C., in cui si evidenzia l’origine greca dei romani.

Dionigi, basandosi anche sugli storici Ellanico e Timeo, ricordati in precedenza, riferisce che Enea e i compagni sbarcarono sui domini di Latino, re degli aborigeni, popolo proveniente dall’Arcadia nel Peloponneso, sulla costa laurentina alla foce del fiume Numico, in una laguna separato dal mare da dune costiere. Il litorale presentava una vegetazione lussureggiante, erbe palustri crescevano nella laguna e una folta foresta si sviluppava verso l’interno, la “sacra selva” narrata da Virgilio.

Allora si avverarono i prodigi profetati dagli oracoli, una volta giunti al luogo predestinato.

Per placare la loro rete sgorgarono sorgenti, zampillanti in un luogo sacro al Sol Indiges (Indigeno).

E affamati, non avendo più vivande, arrivarono a mangiare anche i piatti, focacce di grano, chiamate mense. Dionigi riporta che ai suoi tempi, ancora si osservavano due altari, ritenuti di fattura troiana, uno a est, l’altro a ovest, dove Enea, appena sbarcato aveva compiuto i primi sacrifici.

Avvistata una scrofa bianca e gravida, l’eroe troiano intese immolarla agli dei. Essa però fuggì correndo verso una collina lontana dal mare 24 stadi, circa 4 chilometri e 400 metri, dove esausta partorì 30 porcellini.

In quel luogo, dopo il sacrificio della madre con i piccoli agli dei, Enea inizierà la costruzione della città e delle mura nel punto più alto, l’acropoli, deponendo i Penali portati da Troia in una capanna.

Enea e Latino contro i Rutuli – morte di Enea

Varrone, ribadendo l’importanza del mito, ricorda di aver visto ancora esposta a Laviunium nel I sec. a.C. una statua bronzea della scrofa, cita Castagnoli, Enea e il re Latino, avvertiti da oracoli divini, siglarono un accordo. L’esule, in cambio della collina e del territorio circostante, avrebbe aiutato Latino a combattere i bellicosi Rutuli, abitanti della vicina Ardea e avuto in sposa la figlia di Latino, Lavinia, che darà il suo nome alla città fondata da Enea, Lavinium, fanciulla prima concessa a Turno, divenuto per questa ragione nemico e alleato dei Rutuli.

I due popoli aborigeni e troiani si fusero quindi in uno solo, prendendo un unico nome, quello di Latini.

Alla morte di Latino, divenuto re Enea, e ripresa la guerra con i Rutuli, affiancati dal mitico re etrusco Mesenzio, dopo la battaglia avvenuta presso il fiume Numico, non si trovò più il suo corpo forse trasportato tra gli dei, oppure perito nel fiume.

Dionigi di Alicarnasso che, secondo Sommella visitò molto probabilmente il luogo, essendo a Roma in età augustea, descrive: “E i latini gli costruirono un heroon [in senso proprio tomba dell’eroe] fregiato di questa iscrizione: del dio Padre Indìgete, che guida la corrente del fiume Numico… c’è un tumulo non grande e intorno a essi alberi allineati degni di nota”. Il padre Indigete è Enea, onorato nel senso di progenitore, capostipite, protettore primordiale. Il culto locale di Indiges (indigeno) Juppiter, Sol, Pater, Deus, coltivato presso il fiume Numico e a Lavinium, come affermano le fonti latine Livio e Servio, citate da Castagnoli, era diffuso anche nel Lazio e poi identificato con l’eroe troiano.

Scomparsa nei secoli la maggior parte dell’antica Lavinium, sebbene il mito affascinasse anche Leon Battista Alberti e proseguissero studi e ricerche fino all’800 nel luogo della città, già localizzato nel ’500 da Pirro Ligorio, solo negli anni ’70 del ’900, le indagini archeologiche della Sapienza di Roma trovarono riscontro nelle parole di Dionigi.

La scoperta dell’Heroon di Enea

Sommella è riuscito a identificare nei resti di una tomba monumentale, non lontana dall’aeroporto di Pratica di Mare e dal Fosso di Pratica, l’heroon di Enea, seguito da un largo consenso degli studiosi (Fig. 2). I reperti consistono nei resti di un anello di base in tufo dell’originaria tomba a tumulo, che racchiude, conservate solo a livello di spiccato, una cella quadrata, una gran porta a 2 ante, riproducente una porta lignea con listelli e maniglione (Fig. 3) e una grande cassa con coperchio, pure in tufo, misurante 2,50 per 1,60 metri, ove sono stati trovati resti di ossa lunghe e due vasi di età posteriore (Fig. 4). Ricordo che la tomba a tumulo, costituito da un mucchio di pietrisco a forma di cupola, fu ampiamente utilizzata già nel Neolitico. Se ne trovano in Turchia (Lidia e Frigia), in Grecia (Micene, Maratona) e in Italia fra gli etruschi.

 

Lavinium sede di culto per i Romani

Lavinium diventa per Roma, la sede di un culto fondamentale. In essa è l’inizio di tutta la popolazione del Lazio e di Roma.

Il fiume Numico, una volta ricco di acque, tra i vari torrenti che scorrono al mare intorno a Lavinium (Fig. 7), dopo lunghe discussioni ancora in corso, è stato identificato con il Fosso di Pratica di Mare, ora un esiguo rivo, tra l’aeroporto militare e il litorale di Torvaianica, a causa del ritrovamento di un grande santuario presso il mare, proprio a nord della foce del Fosso di Pratica (Fig. 8).

Le rovine di un tempio, iniziato nel VI sec. a.C. e riedificato in età repubblicana, circondato da un recinto murario anche in funzione difensiva, munito di torre, sono state riconosciute da Castagnoli con il santuario ricordato da Dionigi nel luogo dello sbarco di Enea. Nel sito sacro al sole, ritenuto “locus Solis Indigetis” anche da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia), sarebbe sgorgata la miracolosa sorgente. La zona dell’approdo era anche designata dall’antico toponimo di Troia, secondo quanto viene narrato da Tito Livio, che ricorda lo sbarco di Enea in territorio laurentino: “Troia et huic loco nomen est”.

Ulteriori studi di rilevamento topografici e gli scavi archeologici condotti da Alessandro Jaia nel corso degli anni 2005-2012 hanno permesso una migliore conoscenza dei resti e definizione nella localizzazione del santuario dedicato al Sol Indiges, anche rispetto al Numico e alla antica laguna costiera, di cui sono state fatte ipotesi dell’antica estensione.

Secondo la restituzione fotogrammetrica di F. Piccarreta (Fig. 9), metodo di rilevamento altimetrico e planimetrico del terreno molto preciso, che si serve di foto terrestri e aeree, è possibile localizzare con chiarezza il santuario con il recinto murario quadrangolare nelle caratteristiche del territorio.

Nonostante le profonde trasformazioni geomorfologiche e la bonifica della laguna, ormai scomparsa, si può notare, secondo Madonna, Fenelli e Jaia, anche la miracolosa sorgente in un piccolo invaso dell’antico tratto del Numico (Fig. 9, 1), ora Fosso di Pratica sulle rive del quale sorgono in posizione assiale i resti del tempio (Fig. 10).

 

L’Acropoli di Lavinium

L’acropoli di Lavinium, il nucleo più antico e più alto della città, è stato identificato per la sua maggior parte con il Borgo di Pratica di Mare, non discosto dall’aeroporto di Pratica e lontano dal mare circa 4 Km., quasi la stessa distanza dal luogo dove Enea sbarcò a quello in cui fondò Lavinium, menzionata dalle fonti. Il borgo fu ristrutturato nel ’600 dai principi Borghese, ancora oggi proprietari del fondo, in cui è situata l’antica Lavinium, a opera dell’architetto Rainaldi, su disegni di Antonio da Sangallo il giovane (Fig. 12).

Il Santuario delle 13 are

A Enea si collega anche il culto della madre Venere, nella sua assimilazione con Afrodite, a cui era probabilmente dedicato un importante santuario ritrovato negli anni ’60 al di fuori delle mura di Lavinium, vicino al cenotafio di Enea (Fig. 14).

Identificato anche con il santuario dei Penati, ovvero con l’Aphrodisium e quindi con il santuario della lega latina e del popolo latino, ricordato dalle fonti, afferma Sommella, il santuario delle XIII are consiste in un complesso di 13 altari – recentemente è stato ritrovato il quattordicesimo – in tufo giallo, allineati da nord a sud e posti in direzione del sole a est, che ha confronti con l’ambienti magno greco. Dipinti anticamente in rosso, presentano una pianta di tipo greco ad ante e una modanatura tipicamente italica, e sono stati costruiti nell’arco di tempo dal VI al IV sec. a.C., di cui il tredicesimo è il più antico.

Sul terreno furono trovati molti reperti fittili architettonici e votivi, in particolare ceramiche d’importazione attica (una kylix coppa [Fig. 15], e un dinos, anfora, entrambe a figure nere del VI sec. a.C.) e laconica (una kylix ad alto piede, a figure nere dello stesso periodo), conservate nel Museo Lavinium (Fig. 16).

 

La scoperta di importanti reperti

Questi ritrovamenti insieme a una lamina con dedica ai Dioscuri – il cui culto d’origine greca fu assai seguito a Roma – databile al ’500 a.C., vengono a documentare, dichiara Castagnoli, rapporti diretti, nella religione e nell’arte, tra il mondo greco e quello latino in età arcaica, al di fuori di ogni mediazione etrusca, che fu comunque molto importante per la società latina e romana.

A Enea è collegato anche il mito di Minerva, assimilata ad Atena, a cui era reso il culto in un altro importante santuario extraurbano situato a est, ritrovato solo a livello di fondazione.

Molti sono i reperti rivenuti nel santuario, spesso abilmente ricostruiti, un piccolo cippo in terracotta con il nome della dea, terrecotte votive e un centinaio di statue fittili di offerenti, risalenti dal VI al III sec. a.C., anche a grandezza naturale, che farebbero pensare a caratteristiche curotrofiche del culto nel santuario, ora nel Museo Lavinium.

La valenza terapeutica di questo culto è testimoniata dalla presenza di ex voto anatomici e dalle figure offerenti melagrane, colombe, giocattoli, atti che potrebbero essere finalizzati al momento delle nozze e a riti di passaggio (Fenelli). Da notare la statua fittile di Minerva, datata al V sec. a.C., alta 2 metri (Fig. 17).

La dea, in parte ricostruita, è rappresentata con una iconografia inconsueta, armata di spada e affiancata da un tritone a sostegno dello scudo, probabilmente derivata da una leggenda meno nota che la voleva nata in Beozia (Grecia) e allevata lungo il fiume Tritone, ma che riecheggia la “Tritonia Virgo” virgiliana del libro XI.

Un’altra statuina in terracotta, risalente al V sec. a.C., trovata in loco, è generalmente ritenuta raffigurazione di Minerva come Palladio, immagine sacra, difesa della città di Troia (Fig. 18). Secondo il mito, questa statua in legno molto antica (xòanon) raffigurata anche in una metopa nel lato nord del Partenone, fu inviata da Zeus a Dardano, progenitore di Troia, per tutelare la città. Rubata da Ulisse a Diomede, secondo Virgilio, determinò la distruzione della città.

Enea, racconta Dionigi di Alicarnasso, avrebbe invece salvato il Palladio dalla distruzione di Troia, portandolo in Italia. Alcune fonti latine lo ritennero conservato a Roma nel tempio di Vesta, altre invece lo ricordarono a Lavinium, privilegiata nella conservazione del simulacro dei Penati.

 

 

 

 

 

 

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